Come
nasce un violino / I segreti della Zambelli
La liutaia impiega duecento ore di lavoro per ogni suo strumento. ''Ne faccio 4 all’anno''
di Isabella Mazzitelli
La Repubblica / Milano
21 giugno 1992
Interrogata
sulla sua singolare carriera,
risponde con un sorriso: «Vuole la versione poetica o la verità?» Sorride Wanna Zambelli, con bellissimi occhi blu che mandano lampi di recalcitrante
allegria.
A meno
di
quarant'anni Zambelli è la liutaia più abile e famosa d'Italia, e una delle più note nel mondo. È un artigiano, un solido, schietto, ruvido artigiano. Ma è anche un'artista, una finissima interprete del legno, la quale dalle segrete leggi che governano la materia estrae l'anima e la consegna, lucente e perfetta, a chi, suonando i suoi violini, le viole, i violoncelli, cerca fra le corde la massima armonia del suono.
''Mia
madre interpellò un pittore''
Una grande carriera, la sua, con un inizio casuale e un
prosieguo travolgente, come un amore ingombrante e felice capitato tra le mani
quando stai pensando a tutt'altro. «Era il '68, avevo sedici anni e vivevo a Volongo –
non sono di Cremona, sono dell'altra parte
dell'Oglio, del paese della Fracci, guardi che c'è una bella differenza.»
«Il mio problema a Volongo era
che non sapevo cosa fare del mio futuro. Avevo fatto le medie, un anno di
istituto tecnico con qualche esame a settembre e nessuna voglia di studiare. L'alternativa
era andare in fabbrica, a fare scarpe o lenzuola, come tutte. Mia madre, disperata,
aveva chiesto consiglio a un pittore, uomo saggio del paese. "Proviamo con
la scuola di liuteria a Cremona e se va male c'è sempre il corso di arredamento".
Invece è stato un amore a prima vista, una passione immediata, coinvolgente e
totale».
«Forse perché dalle
cento faticose materie dell'Itis passavo di colpo a una manciata di lezioni – minimizza,
a riportare il sentimento nei binari dell'esibita rudezza –. Non dovevo fare né
inglese né fisica ed eravamo dieci studenti e due professori».
La ragazzina che non
voleva studiare è la prima alunna italiana della scuola aperta nel 1938 per celebrare
l'anniversario del maestro dei maestri, l'autoctono Antonio Stradivari. E prima
di lei le donne sono state due soltanto, una svizzera in anni lontani e una francese
successivamente.
«Ora di ragazze
l'istituto è pieno, sono quasi la metà degli iscritti. Ma poi a incamminarsi
davvero verso la professione sono pochissime, spiega lei, sottintendendo che è
un mestiere duro, di assoluta dedizione, destinato ai pazienti e ai caparbi: «Anche
perché a Cremona la situazione è tragica, la concorrenza è spietata. La verità è
che siamo troppi», aggiunge di slancio con sincerità, lei che pure non dovrebbe
aver motivo di curarsi della concorrenza.
Nella città del metodo
classico, della scuola Doc che il mondo ci invidia, di liutai ce n'è a bizzeffe,
in proporzione al mercato: una settantina nell'apposita associazione,
altrettanti fuori. Fanno 140 persone almeno: brave pochissime, mediocri tante,
tutte lì a spartirsi la torta di musicisti, concertisti, apprendisti,
dilettanti. Succede così che il turista musicofilo, segnatamente il giapponese –
che per la sua solvibilità è il più ambito anche in questo angolo di provincia –
venga corteggiato e invogliato con prezzi stracciati, anche 800mila lire per un
violino hand made in Cremona, quando il pezzo di un maestro costa in realtà
alcuni milioni.
La differenza c'è,
magari si vede e sicuramente si sente, ma tant’è. I Giapponesi guardano,
comprano e vanno via portandosi a casa le «cassette di limoni», come con
crudele semplicità vengono chiamati gli strumenti da poco, fatti magari dagli
allievi della scuola di liuteria per mantenersi.
Nell'empireo odoroso di
resine dove vive e lavora, Wanna Zambelli affronta questo argomento con
riluttanza, lanciando occhiate d'intenso blu agli strumenti, come se una
risposta potesse arrivare dagli amati legni. Si capisce che non è nel suo stile
– diretto ma gentile, sincero ma non brutale – parlare degli altri, di quelli
che tirano via un violino in poche ore quando lei ce ne mette duecento; e si
capisce che le piaccia pochissimo parlare di soldi. Eppure, l’argomento serve,
nella sua volgare concretezza, a capire qualcosa di più.
Zambelli si arrende
quando intuisce che il rischio, per lei, è passare per una zarina della cassa
armonica, una capricciosa e costosa emula di Stradivari. «Va bene, facciamo un
po' di conti. Un liutaio è un artigiano, giusto? E quanto prende un artigiano –
diciamo un idraulico – per un'ora di lavoro: diciamo trenta mila lire? Le mie duecento
ore di lavoro per fare un violino dunque varrebbero sei milioni. Senza contare
il materiale e senza dire che forse è un lavoro diverso. Bene, mi considero molto
fortunata se me ne danno sette, perché se sono musicisti e se ne intendono, non
discutono, ma se il cliente è un signore che vuol fare un regalo al figlio che
impara, allora farsi pagare il giusto può essere duro».
Magari, azzardiamo, si
può costruire un violino che vale sette e uno che vale due. Magari se ne fanno
venti l'anno e così i conti tornano di più. Sillaba irritata la maestra
liutaia, gli occhi saettano bagliori minacciosi: «Quando comincio uno strumento
non è di serie A, B o C. Io lo faccio al meglio. E intendiamoci: quando ne
vendo uno, se tutto va come deve, quel cliente non lo vedrò mai più. Parliamo di
violini, non di cappotti». In quanto alla quantità, la produzione Zambelli è
limitatissima, non più di quattro pezzi
l'anno. A farne di più non ha tempo, perché la sua dedizione alla scuola di
liuteria è grande.
Allieva di uno dei più
famosi liutai del mondo, Francesco Bissolotti, Wanna Zambelli crede molto
nell'insegnamento. Bissolotti la notò dopo due giorni di scuola: «Quando ti
diplomi vieni a bottega da me», le disse intravedendo la mano buona fin dai
primi colpi di sgorbia. Qualche anno dal maestro, poi la liutaia ha messo
bottega per conto suo, in una stanza della sua casa nella vecchia città.
Pavimento di gomma, ordine, semplicità, nessuna concessione all'iconografia
dell'artigiano in via d'estinzione, coperto di anni e di polvere. Sui banconi,
il lavoro in corso d'opera.
La signora Zambelli
costruisce soprattutto violini, e poi viole e violoncelli. Contrabbassi non ne
ha mai fatti «anche perché, se gli dico quanto costano – cioè venti milioni – scappano».
Ha fatto un violino per
un concertista del calibro di Filippini, ma non lo dice mai per prima, non
esibisce la referenza. «Io non punto sui grandi, preferisco lavorare su chi
diventerà grande». Non per modestia. Wanna Zambelli non è modesta, anzi è molto
fiera del suo lavoro e lo sottolinea, quando è il caso, con sorrisi paciosi e
soddisfatti che vogliono dire: «Sono brava, grazie, lo so». Il motivo di questa
sua scelta è una conferma del suo carattere forte e tranquillo: «Un maestro come
Filippini non suona più di tanto il mio strumento ed in genere è difficile che
un professionista usi a tempo pieno un violino nuovo».
La liutaia preferisce
citare come clienti le «famiglie musicali». Famiglie nel vero senso della
parola, fratelli e sorelle con la passione per l'archetto. I Ronchini di
Milano, per esempio, che sono allievi di Filippini. Sono un pianista, un violoncellista,
una violista e una violinista che sta crescendo, musicalmente parlando. Aspettano
che la sorella sia pronta per fare un quartetto. Ed io sto costruendo lo
strumento per lei». Poi c'è la famiglia musicale tedesca. Il padre commissionò
il primo violino per il figlio, poi è arrivata l'ordinazione di un violoncello
per il fratello e adesso, dice la liutaia tutta illuminata di genuino buonumore,
«spero che abbia un'altra figlia che suona la viola, così mi sistemo».
Una fiducia profonda nella
scuola
È fatta così, la signora Zambelli, tutta passione, ironia e bonaria
concretezza. Ma se in cima ai suoi pensieri ci fosse la lira, non farebbe la
liutaia, o non lo farebbe con la meticolosità d'artista che le riconoscono, o
non dedicherebbe gran parte delle sue giornate a insegnare l'arte nella scuola
cremonese. La cosa curiosa è che Wanna Zambelli non si considera una
sacerdotessa del liuto. Non si propone, non parla, non si atteggia a vestale di
un culto misterioso, non difende la segretezza delle leggi stradivariane che
consentono alla materia inerte di trasformarsi in suono, armonia, musica. Anzi
divulga e diffonde, quieta e serena, ben piantata nelle sue radici contadine.