di Claudio Gallico
Professore Ordinario di Storia della Musica e
Direttore dell’Istituto di Musicologia
dell’Università di Parma
Presentare
Cremona al mondo significa offrire l’immagine che costituisce la sua carta d’identità
più prestigiosa e conosciuta: l’immagine di città liutaria della grande
tradizione classica cremonese, divenuta ormai tappa d’obbligo nei circuiti del
turismo internazionale.
La liuteria classica cremonese è quella che nasce coi nomi prestigiosi degli
Amati, degli Stradivari e dei Guarneri, ma che affonda le sue radici lontano
nel tempo, forse nella stessa cultura della maestosa porta orientale d’Europa:
Venezia.
È nel Settecento, il secolo che per l’Europa rappresenta la grande
illuminazione della modernità, che Cremona diventa il punto di massima
maturazione di un grande artigianato artistico: quello liutario. Dal
Cinquecento in avanti, dalla bottega degli Amati a quella di Stradivari, si
sviluppa una accumulazione culturale il cui frutto più maturo sarà appunto la
nascita della Scuola liutaria classica cremonese. Questa creazione ha la
ventura però di incontrarsi con il nuovo processo riformatore iniziato da Maria
Teresa d’Austria. Così, paradossalmente, la fine delle Corporazioni e l’inizio
del libero commercio segneranno irrimediabilmente il rapido declino di questo
artigianato artistico e l’inizio di una dispersione che data, purtroppo, dalle
figure stesse dei figli di Antonio Stradivari. Questa dispersione avrà l’effetto
di rendere praticamente incomprensibili, ai successori, cognizioni e saperi
lungamente filtrati e distillati, alimentando il mito del «mistero»
stradivariano delle vernici.
Così il punto del maggior splendore della Scuola classica cremonese segnerà
anche l’inizio della sua rapida decadenza e l’avvio di una storia rocambolesca
di eredità e di falsificazioni. La modificazione successiva del contesto
storico e culturale, oltre che della stessa domanda musicale (con una sempre
più grande richiesta di strumenti, legata al sorgere delle grandi orchestre
ottocentesche), amplificherà questo fenomeno della falsificazione e della
imitazione, insieme a quello della mitizzazione della figura di Stradivari. Le
sorgenti culturali del suo lavoro diventeranno così praticamente quasi
incomprensibili. Il recupero del pieno significato della tradizione classica
cremonese è, infatti, una conquista soprattutto moderna.
Tale riscoperta doveva
passare necessariamente dalla piena ricomprensione del metodo di lavoro e della
tecnica dei classici cremonesi. Era necessaria, per questo, l’opera di una
grande personalità e una vera passione. La passione e la personalità saranno
quelle di Simone F. Sacconi, il grande liutaio e restauratore italiano,
scomparso nel 1973, che si era recato nel corso degli anni ‘30 a New York,
dapprima presso la Casa Herrmann e poi, fino al concludersi dei suoi giorni,
presso la prestigiosa Casa Wurlitzer.
Anche se Sacconi veniva spesso e dimorava a lungo a Cremona, non da tutti ne furono
compresi il genio e la lezione. Una lezione attraverso la quale egli faceva
dono dell’enorme e preziosissimo patrimonio di esperienza tecnica accumulata
presso la Casa Wurlitzer, dove i maggiori concertisti mondiali, da Oistrach a
Stern a Menuhin ecc., portavano a riparare i loro prestigiosi strumenti
antichi. È aprendo questi strumenti che Sacconi si renderà conto dell’originalità
e dell’importanza del metodo costruttivo dei classici cremonesi fondato sulla
cosiddetta “forma interna”. La rinascita della liuteria classica si baserà
dunque sulla riscoperta e sulla rivalorizzazione di quel metodo.
A Cremona l’occasione per recuperare un primo nucleo di strumenti antichi verrà
appunto per iniziativa dello stesso Sacconi e, negli anni ‘60, dell’allora
Direttore del Museo di Cremona e Presidente dell’Ente Turismo, prof. Alfredo
Puerari. A seguito di questa iniziativa, Cremona rientrerà in possesso, non
soltanto dei due Amati recuperati da Sacconi (l’Andrea Amati ex Carlo IX di
Francia del 1566 ed il Niccolò Amati ex Hammerle del 1658), ma anche di uno dei
più splendidi esemplari della Scuola classica: lo Stradivari 1715 detto «Il
Cremonese».
Questi strumenti appartengono oggi alla civica collezione esposta nel Palazzo
Municipale, recentemente arricchita con l’acquisto del Guarneri del Gesù 1734
da parte della Fondazione «W. Stauffer» (ndr: collezione poi trasferita nel Museo
del Violino di Cremona). Un riordinato Museo Stradivariano affianca oggi
questo nucleo di strumenti prestigiosi, assicurati per un valore di oltre tre
miliardi di lire. Ma l’insegnamento tecnico di Sacconi metterà in movimento
qualcosa di più ampio. È dello stesso anno della sua morte, il 1973, la
fondazione dell’ACLAP, ossia dell’Associazione Cremonese dei Liutai Artigiani
Professionisti, che ne rappresenta la continuità e insieme l’ispirazione
ideale. Sul piano tecnico, la lezione di Sacconi trova a Cremona il suo più
prestigioso continuatore nel maestro Francesco Bissolotti, che ha lavorato a
lungo con lui, e nell’allieva più diretta dello stesso Bissolotti, quella Wanna
Zambelli che è anche la prima donna liutaia italiana, vincitrice del premio
intitolato a Simone F. Sacconi alla 5a Biennale Nazionale degli Strumenti ad Arco di
Cremona.
Il maestro Bissolotti e la liutaia Zambelli rappresentano oggi, in Cremona, lo
sviluppo più maturo della linea liutaria classica. Uno dei frutti più complessi
di questa cultura è certamente il nuovo rapporto fra costruttore ed esecutore,
cioè fra liutaio e grande interprete. Da qui la costruzione della viola
speciale a cinque corde commissionata a Bissolotti da Salvatore Accardo (viola
con la quale lo stesso Accardo, nella prossima primavera, terrà a Cremona un
concerto paganiniano in prima mondiale) e il violoncello commissionato da Rocco
Filippini alla Zambelli.
Il recupero tecnico-costruttivo della tradizione da
parte di Sacconi è stato poi reinterpretato e approfondito sul piano teorico ad
opera del Responsabile culturale dell’ACLAP, prof. Giuseppe Tumminello, nel
volume «Arte Artigianato Società». Il concetto di lavoro liutario, ripensato
nella sua dimensione creativa e personale, diventa così la base per un
rinnovamento radicale della stessa cultura liutaria, attraverso la
riproblematizzazione storica e sociologica del «caso» liuteria. Creatività e
personalità quali problemi moderni vengono infatti recuperati alla luce del
significato del lavoro nel mondo preindustriale, in ciò che questo può
suggerire o restituire all’antropologia dell’uomo moderno.
«Arte Artigianato Società» contiene anche la documentazione fotografica della
grande mostra ACLAP, in 4 sezioni, dal titolo «Liuteria classica: un metodo» – opera
del maestro Bissolotti e di altri liutai – ove viene rappresentato nelle sue
fasi fondamentali il processo di costruzione del violino. Sia il libro che la
grande mostra itinerante (dal Teatro alla Scala al Comune di Parigi, ecc.) sono
il frutto di una collaborazione interdisciplinare fra i membri dell’Associazione
che dura ormai da più di un decennio.
L’esperienza dell’ACLAP si situa poi in un quadro di Istituzioni, e di
iniziative cremonesi, che vanno dalla prestigiosa Triennale Internazionale
degli Strumenti ad Arco, al Museo Stradivariano (diretto dal prof. A. Mosconi)
che custodisce i reperti storici più preziosi (forme originali, disegni,
utensili, ecc.), ai grandi concerti del Festival del Violino di Cremona sino al
ruolo formativo di base dell’Istituto Professionale Internazionale di Liuteria.
La realtà cremonese ci sembra una testimonianza viva di ciò che l’«estro» e il
genio italiani possono offrire al mondo. In particolare, questo prestigioso
artigianato artistico consente di esportare un prodotto personalizzato frutto
di un’antica tradizione, capace di differenziarsi dalla produzione su scala di
massa (vedi le fabbriche di violini giapponesi o tedesche).
Il rapporto fra produzione e tradizione è tornato poi ad essere nuovamente
centrale in questo periodo di crisi dello sviluppo industriale. Soprattutto nei
Paesi di antica tradizione industriale è oggi mutato l’atteggiamento verso il
lavoro, al punto che un grande economista come John K. Galbraith ritiene che «l’ultima
frontiera è l’artista» e non la tecnica. Per questo il grande economista
americano rivaluta l’importanza della bellezza nei prodotti, in particolare
della tradizione italiana: "i manufatti italiani sono i più belli di quelli di
qualunque altro Paese". A maggior ragione, dunque, questa affermazione può
valere per la liuteria classica, ossia per una delle tradizioni italiane di
maggiore qualità e di più consolidato prestigio internazionale. Tanto è vero
che il suo pubblico è ormai un pubblico cosmopolita.
Il Made in Italy si sposa dunque felicemente con questa tradizione che può
rappresentare l’immagine creativa del nostro Paese nel mondo. Un’immagine che,
tuttavia, dovrebbe essere meglio garantita all’origine attraverso un marchio
costruttivo che consenta di riconoscere la linea dei prodotti classici nel
settore liutario.
In questo senso, il nome di Cremona non funzionerebbe più come semplice
etichetta per il più vasto pubblico, ma diverrebbe un’effettiva garanzia di
selezione e di qualità costruttiva anche per l’amatore, sia esso collezionista
o grande interprete. Una liuteria Made in Cremona può diventare una delle più
felici traduzioni del lavoro e dei prodotti di alta classe Made in Italy.
Articolo tratto dalla rivista «Made in Italy» (n. 2, primavera 1984, pp.72-79). «Made in
Italy» è una lussuosa pubblicazione stampata, in lingua inglese, per la
Società «The Made In» inc., consociata del Gruppo italo-americano «Fideurart
Publishing Group» con sedi a Roma e New York.