Il maestro Sacconi
nella testimonianza del 
grande 
violinista

Salvatore Accardo

per il libro «Dalla liuteria alla musica:
 l'opera di Simone Fernando Sacconi»

Cremona, 7 ottobre 1983


Ho conosciuto Simone Fernando Sacconi nel 1961, avevo vent’anni, ero un ragazzo; era la prima volta che andavo negli Stati Uniti. Dopo di allora, l’ho incontrato tre o quattro volte in tutta la mia vita. Mi ricordo di lui soprattutto una umanità incredibile, particolarmente con i giovani; nel periodo in cui mi trovavo alla Casa Wurlitzer c’era anche Pinchas Zukerman (è lì infatti che l’ho conosciuto) e mi ricordo che Sacconi si dava un gran daffare perché era lui il direttore di quella grande Casa americana; lui era quello che decideva, molte volte, di prestare gli strumenti ai ragazzi che avevano bisogno, come Zukerman, che allora nessuno conosceva (era un ragazzo che studiava, che aveva bisogno di uno strumento e che non aveva soldi); Sacconi si faceva in quattro per questi ragazzi, dava loro i violini, li faceva lavorare. Con me, personalmente, è stato molto, molto carino. Sono stato anche a casa sua, a Point Lookout, siamo andati a pescare insieme. Aveva quel suo accento romanesco incredibile, quando stava con gli italiani se ne usciva con certe battute divertentissime, da spanciarsi.

E poi c’è stato un magnifico rapporto tra Sacconi e mio padre, che mi accompagnava durante le mie prime tournées negli Stati Uniti, poiché ero un ragazzo di vent’anni, da solo, e avevo un po’ paura... E così, le prime tournées le ho fatte sempre in compagnia di mio padre e mio padre alle volte spariva, io avevo le mie cose da fare e lui spariva, andava da Sacconi; cominciavano a parlare, andavano a bere il caffè insieme, passeggiavano; c’è stato un grosso rapporto di straordinaria amicizia tra di loro, anche perché più o meno dovevano avere la stessa età.

Da Sacconi sono stato aiutato quando ho preso alla Wurlitzer il mio Montagnana; mi ricordo che in quell’epoca io non nuotavo nell’oro, ero all’inizio della carriera ed anche allora gli strumenti costavano parecchio. Suonavo un Giuseppe Gagliano e avevo un Gian Battista Guadagnini non straordinario, erano due strumentini. E quando andai da lui, da Sacconi, per conoscerlo, volle vedere i miei violini e disse: “Ma come, questi non sono strumenti per te.” E io: “Lo so che non sono strumenti per me, ma che faccio?” E Sacconi: “Ci penso io, non ti preoccupare, non ti preoccupare.” Dopo un quarto d’ora si presentò prima con un Maggini, me lo fece provare – non ne ero entusiasta e anche lui non era convinto – e poi mi disse: “Forse ho un violino che fa per te” e ritornò con un Montagnana. Me lo fece vedere e me lo diede da provare: un violino straordinario, suonava meravigliosamente bene, mi sono subito innamorato di questo strumento. E mi disse: “Guarda, non ti preoccupare, facciamo così: io prendo questi due violini, il Gagliano e il Guadagnini e poi lascia fare a me.” Praticamente io non ho tirato fuori una lira. Ho preso il Montagnana e lui: “Tienilo per due o tre mesi, io devo ritornare fra quattro mesi e allora tu mi farai sapere se ti pace o no, magari se non ti va si può provare qualche altra cosa. Comunque, se io dovessi trovare di vendere questi strumenti, li vendo, perché tanto questi non sono violini per te; io riesco ad avere qui dei prezzi molto buoni e poi vedremo...” Io invece dopo quindici giorni gli telefonai che andava benissimo e che ero contentissimo. Questa è stata una delle dimostrazioni di grande umanità di quel grande Maestro. Aveva capito che avevo bisogno di un violino che rispondesse alle mie esigenze, a quello che io volevo da uno strumento, e mi ha veramente aiutato.

E poi ho preso da lui anche il Francesco Stradivari, un violino meraviglioso, bellissimo, che mi fece ottenere ad un prezzo inferiore. La sua parola, alla Wurlitzer, era vangelo! Era lui lì l’elemento veramente importante; era l’anima, la garanzia della Casa; quando si andava alla Wurlitzer, non si andava a chiedere a Tizio o a Caio, si voleva vedere Sacconi, si voleva un parere di Sacconi. Rembert Wurlitzer era l’esperto in affari, Sacconi era il garante di tutto; la cosa più bella però, secondo me, era questo suo enorme interesse e disponibilità per i giovani. Diceva: “L’unica eredità che posso lasciare io al mondo è quella di aiutare i giovani.” Ed aveva una grande serietà professionale, era di una serietà incredibile, serietà molto rara a quei livelli, che sono livelli anche di grandi commerci.

Mi teneva con sé, mi faceva vedere i lavori di restauro che stava eseguendo. Mi ricordo di una viola che aveva restaurato e di cui mi aveva fatto vedere la fotografia prima del restauro: era come se qualcuno ci si fosse seduto sopra. Era incredibile il lavoro che aveva fatto, non si vedeva assolutamente la riparazione, la viola sembrava intatta.

Ho avuto la fortuna di essere a New York proprio quando i Wurlitzer ricomprarono la collezione Hottinger, che era una delle più grandi collezioni di strumenti del mondo; Sacconi mi chiamò in albergo e mi disse: “Guarda, questa mattina arrivano tutti questi strumenti, vieni a vederli perché è una cosa unica.” Avrò visto 8-10 Stradivari, 4 Guarneri del Gesù, degli Amati, Montagnana, lo Stradivari IV, il quartino di Stradivari; e poi me li fece provare tutti quanti, e mi disse: “Guarda, te li faccio provare, però non dovrei, non perché non sia permesso, ma perché non ti faccio un buon servizio, poiché tu li provi e poi non li puoi prendere.” Comunque, è stata una cosa unica vedere tutti questi strumenti insieme (venticinque-trenta strumenti), mi vengono ancora i brividi a pensarci. Erano tutti in condizioni meravigliose, tutti veramente bellissimi, straordinari. Basti pensare che tutta la collezione era stata a suo tempo comprata presso la Casa Wurlitzer; quindi, usciva ancora praticamente dalle mani di Sacconi.

Sacconi era l’oracolo per noi violinisti. Quando ci si incontrava tra colleghi e ci si chiedeva questo violino cos’è, cosa non è, la prima domanda era: “Sacconi l’ha visto? Cosa dice Sacconi?” Lui era l’ultima parola, era il vangelo, e non solo per noi, ma anche per tutti i suoi colleghi, e questo è anche più importante, perché di colleghi straordinari ce ne sono, però per tutti loro – soprattutto quando si parlava di Stradivari – era Sacconi che aveva l’ultima parola; c’era quindi questa enorme considerazione, veramente enorme; sia tra i miei che fra i suoi colleghi era un po’ una specie di mito, Sacconi era un mito. E voglio ricordarlo così, come un grande faro, quasi un riferimento obbligato per musicisti e liutai. Un grandissimo esperto ed un grande uomo, di una straordinaria umanità.

Cremona, 7 ottobre 1983

Tratto dal libro: «Dalla liuteria alla musica: l’opera di Simone Fernando Sacconi», presentato ufficialmente il 17 dicembre 1985 alla Library of Congress di Washington, D.C. (Cremona, ACLAP, prima edizione 1985, seconda edizione 1986, pagg. 179-181 - Italian / English).


The master Sacconi
in the testimony
of the great 
violinist

Salvatore Accardo
to the book «From Violinmaking to Music: The Life 
and Works of Simone Fernando Sacconi»

Cremona, October 7, 1983

I met Simone Fernando Sacconi in 1961, when I was twenty, hardly more than a boy. It was my first trip to the United States. After that, I encountered him three or four more times. The main thing I remember about him was his incredible humanity, especially with young people. During the period in which I frequented the Wurlitzer Company, Pinchas Zukerman came in, too (in fact, that is where I met him). I remember how hard Sacconi worked, because he was the director of that great American company. He was the one who often decided to lend instruments to young people that needed them – like Zukerman, whom nobody knew at the time (he was a just young student who needed an instrument and had no money). Sacconi went out of his way for these young people, giving them violins and finding them work. With me, personally, he was terribly nice. I even went to his house on Point Lookout, and we went fishing together. He had that incredible accent from his Roman dialect, and when he was with other Italians he would come out with the funniest things – enough to make you die laughing.

Then there was a wonderful relationship between Sacconi and my father, who accompanied me on my first tours of the United States. I was only twenty, alone, and pretty scared... so I was always with my father on my first tours. Every once in a while be would disappear when I had things to do. He'd go off and see Sacconi – they'd strike up a conversation, then go have a cup of coffee or take a walk together. There was a great rapport of extraordinary friendship between them, also because they must have been about the same age.

Sacconi helped me out when I got my Montagnana from Wurlitzer's. I remember that I wasn't exactly rolling in money at the time; I was just at the beginning of my career, and even then instruments cost a great deal. I was playing a Giuseppe Gagliano in that period, and had a Gian Battista Guadagnini, which was nothing exceptional – just two mediocre instruments. When I went to meet Sacconi, he asked to see my instruments and said, “What?! These aren't instruments for you!” I answered, “I know, but what can I do?” Sacconi reassured me, “I’ll take care of everything – don't worry, don't worry.” After a quarter of an hour, he showed up with a Maggini and had me try it – I wasn't very enthusiastic about it, and he wasn't convinced, either. Then he said, “Maybe I do have just the violin for you” and he came back with a Montagnana. He showed it to me and handed it to me to try it out: it was an extraordinary violin with a marvellous tone, and I immediately fell in love with it. He said, “Look, don't worry – here's what we'll do: I’ll take these two violins, the Gagliano and the Guadagnini, and then let me handle things.” In all practicality, I didn't have to spend a cent. I took the Montagnana, and he told me, “Keep it for two or three months. I have to be back within four months, and you can let me know then whether or not you like it. If you don't, maybe we can try something else. In any case, if I have the chance to sell these instruments, I will, because they're not for you. I manage to get really good prices, and then... we'll see. » Instead, I called after just two weeks to tel1 him that the violin was wonderful, and that I was euphoric. This was just one example of that great Maestro's exceptional humanity. He had understood that I needed a violin that responded to my interpretative demands, to what I wanted from an instrument, and he really helped me out.

Then I also got my Francesco Stradivari from him – a marvellous... gorgeous violin which he enabled me to get at a reduced price. His word was the gospel at Wurlitzer's! There, he was the one who really counted – he was the soul, the security of the firm. When you went there, you didn't ask for just anyone – you wanted to see Sacconi, you wanted his opinion. Rembert Wurlitzer was the business expert, but Sacconi was the guarantee for everything. The most beautiful thing in my opinion, however, was this enormous interest and availability he showed young people. He used to say, “The only thing I can leave to the world is what I do for the young.” He also had extreme conscientiousness in his profession; he was incredibly reliable, with a sense of responsibility that is quite rare at his level, which was also the level of big business.

He kept me with him, and showed me the restorations he was doing. I remember one viola that he restored, and the photo he showed me of it before the restoration: it looked as if someone had sat on it. The work he had done was incredible – you absolutely couldn't see the repair, and the viola seemed intact.

I was fortunate enough to be in New York right when the Wurlitzers repurchased the Hottinger Collection, which was one of the greatest collections of instruments in the world. Sacconi called me at my hotel and said, “Listen, this morning all these instruments are going to arrive – come see them, because it's a once-in-a-lifetime occasion!” I must have seen 8-10 Stradivariuses, 4 Guarnerius del Gesùs, some Amatis and Montagnanas, the Stradivarius IV, the Stradivarius quarter. Then he had me try every one of them, saying, “ Look, I'll let you try them, but I really shouldn't – not because it's not allowed, but because I'm not exactly doing you a favor, since you'll get the feel of them and then not be able to buy them.” In any case, it was a chance in a million to see all those instruments at one time (twenty-five to thirty instruments) – I still tremble when I think about it. They were all in marvellous condition, and every one really extremely beautiful – extraordinary. You can understand if you think that the whole collection had been bought from the Wurlitzer Company earlier and thus, in all practicality, came from Sacconi's hands.

Sacconi was an oracle for us violinists. Whenever we got together and asked each other about a violin – what it was, or wasn't – the first question was, “Has Sacconi seen it? What did he say about it?” He always had the last word – it was the gospel, and not just for us, but for all his colleagues, as well, This is even more important, because he had some extraordinary colleagues, but all of them agreed that Sacconi had the last word – especially when it had to do with Stradivarius. Thus he was held in immense respect – really enormous; both among my colleagues and among his, he was a sort of myth. Sacconi was a myth, and that's how I want to remember him... as a great guiding light, an essential point of reference for musicians and violinmakers, alike – a great, great expert, and a really superior man of extraordinary humanity.


Cremona, October 7, 1983

Taken from the book: «From Violinmaking to Music: The Life and Works of Simone Fernando Sacconi» (pages 181-183), officially presented on December 17, 1985 at the Library of Congress in Washington, D.C.