Ho
conosciuto Simone Fernando Sacconi nel 1961, avevo vent’anni, ero un ragazzo;
era la prima volta che andavo negli Stati Uniti. Dopo di allora, l’ho
incontrato tre o quattro volte in tutta la mia vita. Mi ricordo di lui
soprattutto una umanità incredibile, particolarmente con i giovani; nel periodo
in cui mi trovavo alla Casa Wurlitzer c’era anche Pinchas Zukerman (è lì
infatti che l’ho conosciuto) e mi ricordo che Sacconi si dava un gran daffare
perché era lui il direttore di quella grande Casa americana; lui era quello che
decideva, molte volte, di prestare gli strumenti ai ragazzi che avevano
bisogno, come Zukerman, che allora nessuno conosceva (era un ragazzo che
studiava, che aveva bisogno di uno strumento e che non aveva soldi); Sacconi si
faceva in quattro per questi ragazzi,
dava loro i violini, li faceva lavorare. Con me, personalmente, è stato molto,
molto carino. Sono stato anche a casa sua, a Point Lookout, siamo andati a
pescare insieme. Aveva quel suo accento romanesco incredibile, quando stava con
gli italiani se ne usciva con certe battute divertentissime, da spanciarsi.
E poi c’è stato un magnifico rapporto tra Sacconi e mio padre, che mi
accompagnava durante le mie prime tournées negli Stati Uniti, poiché ero un
ragazzo di vent’anni, da solo, e avevo un po’ paura... E così, le prime
tournées le ho fatte sempre in compagnia di mio padre e mio padre alle volte
spariva, io avevo le mie cose da fare e lui spariva, andava da Sacconi;
cominciavano a parlare, andavano a bere il caffè insieme, passeggiavano; c’è
stato un grosso rapporto di straordinaria amicizia tra di loro, anche perché
più o meno dovevano avere la stessa età.
Da Sacconi sono stato aiutato quando ho preso alla Wurlitzer il mio Montagnana;
mi ricordo che in quell’epoca io non nuotavo nell’oro, ero all’inizio della
carriera ed anche allora gli strumenti costavano parecchio. Suonavo un Giuseppe
Gagliano e avevo un Gian Battista Guadagnini non straordinario, erano due
strumentini. E quando andai da lui, da Sacconi, per conoscerlo, volle vedere i miei
violini e disse: “Ma come, questi non sono strumenti per te.” E io: “Lo so che
non sono strumenti per me, ma che faccio?” E Sacconi: “Ci penso io, non ti
preoccupare, non ti preoccupare.” Dopo un quarto d’ora si presentò prima con un
Maggini, me lo fece provare – non ne ero entusiasta e anche lui non era
convinto – e poi mi disse: “Forse ho un violino che fa per te” e ritornò con un
Montagnana. Me lo fece vedere e me lo diede da provare: un violino
straordinario, suonava meravigliosamente bene, mi sono subito innamorato di
questo strumento. E mi disse: “Guarda, non ti preoccupare, facciamo così: io
prendo questi due violini, il Gagliano e il Guadagnini e poi lascia fare a me.”
Praticamente io non ho tirato fuori una lira. Ho preso il Montagnana e lui: “Tienilo
per due o tre mesi, io devo ritornare fra quattro mesi e allora tu mi farai
sapere se ti pace o no, magari se non ti va si può provare qualche altra cosa. Comunque,
se io dovessi trovare di vendere questi strumenti, li vendo, perché tanto
questi non sono violini per te; io riesco ad avere qui dei prezzi molto buoni e
poi vedremo...” Io invece dopo quindici giorni gli telefonai che andava benissimo
e che ero contentissimo. Questa è stata una delle dimostrazioni di grande
umanità di quel grande Maestro. Aveva capito che avevo bisogno di un violino
che rispondesse alle mie esigenze, a quello che io volevo da uno strumento, e
mi ha veramente aiutato.
E poi ho preso da lui anche il Francesco Stradivari, un violino meraviglioso,
bellissimo, che mi fece ottenere ad un prezzo inferiore. La sua parola, alla
Wurlitzer, era vangelo! Era lui lì l’elemento veramente importante; era l’anima,
la garanzia della Casa; quando si andava alla Wurlitzer, non si andava a
chiedere a Tizio o a Caio, si voleva vedere Sacconi, si voleva un parere di
Sacconi. Rembert Wurlitzer era l’esperto in affari, Sacconi era il garante di
tutto; la cosa più bella però, secondo me, era questo suo enorme interesse e
disponibilità per i giovani. Diceva: “L’unica eredità che posso lasciare io al
mondo è quella di aiutare i giovani.” Ed aveva una grande serietà
professionale, era di una serietà incredibile, serietà molto rara a quei
livelli, che sono livelli anche di grandi commerci.
Mi teneva con sé, mi faceva vedere i lavori di restauro che stava eseguendo. Mi
ricordo di una viola che aveva restaurato e di cui mi aveva fatto vedere la
fotografia prima del restauro: era come se qualcuno ci si fosse seduto sopra.
Era incredibile il lavoro che aveva fatto, non si vedeva assolutamente la
riparazione, la viola sembrava intatta.
Ho avuto la fortuna di essere a New York proprio quando i Wurlitzer
ricomprarono la collezione Hottinger, che era una delle più grandi collezioni
di strumenti del mondo; Sacconi mi chiamò in albergo e mi disse: “Guarda,
questa mattina arrivano tutti questi strumenti, vieni a vederli perché è una
cosa unica.” Avrò visto 8-10 Stradivari, 4 Guarneri del Gesù, degli Amati,
Montagnana, lo Stradivari IV, il quartino di Stradivari; e poi me li fece
provare tutti quanti, e mi disse: “Guarda, te li faccio provare, però non dovrei,
non perché non sia permesso, ma perché non ti faccio un buon servizio, poiché
tu li provi e poi non li puoi prendere.” Comunque, è stata una cosa unica
vedere tutti questi strumenti insieme (venticinque-trenta strumenti), mi
vengono ancora i brividi a pensarci. Erano tutti in condizioni meravigliose,
tutti veramente bellissimi, straordinari. Basti pensare che tutta la collezione
era stata a suo tempo comprata presso la Casa Wurlitzer; quindi, usciva ancora
praticamente dalle mani di Sacconi.
Sacconi era l’oracolo per noi violinisti. Quando ci si incontrava tra colleghi
e ci si chiedeva questo violino cos’è, cosa non è, la prima domanda era: “Sacconi
l’ha visto? Cosa dice Sacconi?” Lui era l’ultima parola, era il vangelo, e non
solo per noi, ma anche per tutti i suoi colleghi, e questo è anche più
importante, perché di colleghi straordinari ce ne sono, però per tutti loro –
soprattutto quando si parlava di Stradivari – era Sacconi che aveva l’ultima parola;
c’era quindi questa enorme considerazione, veramente enorme; sia tra i miei che
fra i suoi colleghi era un po’ una specie di mito, Sacconi era un mito. E
voglio ricordarlo così, come un grande faro, quasi un riferimento obbligato per
musicisti e liutai. Un grandissimo esperto ed un grande uomo, di una
straordinaria umanità.
Cremona,
7 ottobre 1983
I met Simone Fernando Sacconi in 1961, when I
was twenty, hardly more than a boy. It was my first trip to the United States.
After that, I encountered him three or four more times. The main thing I
remember about him was his incredible humanity, especially with young people.
During the period in which I frequented the Wurlitzer Company, Pinchas Zukerman
came in, too (in fact, that is where I met him). I remember how hard Sacconi
worked, because he was the director of that great American company. He was the one
who often decided to lend instruments to young people that needed them – like
Zukerman, whom nobody knew at the time (he was a just young student who needed
an instrument and had no money). Sacconi went out of his way for these young
people, giving them violins and finding them work. With me, personally, he was
terribly nice. I even went to his house on Point Lookout, and we went fishing
together. He had that incredible accent from his Roman dialect, and when he was
with other Italians he would come out with the funniest things – enough to make
you die laughing.
Then there was a wonderful relationship between
Sacconi and my father, who accompanied me on my first tours of the United
States. I was only twenty, alone, and pretty scared... so I was always with my
father on my first tours. Every once in a while be would disappear when I had
things to do. He'd go off and see Sacconi – they'd strike up a conversation,
then go have a cup of coffee or take a walk together. There was a great rapport
of extraordinary friendship between them, also because they must have been
about the same age.
Sacconi helped me out when I got my Montagnana
from Wurlitzer's. I remember that I wasn't exactly rolling in money at the
time; I was just at the beginning of my career, and even then instruments cost a great deal. I was playing a Giuseppe Gagliano in that period, and had a
Gian Battista Guadagnini, which was nothing exceptional – just two mediocre
instruments. When I went to meet Sacconi, he asked to see my instruments and
said, “What?! These aren't instruments for you!” I answered, “I know, but what
can I do?” Sacconi reassured me, “I’ll take care of everything – don't worry,
don't worry.” After a quarter of an hour, he showed up with a Maggini and had
me try it – I wasn't very enthusiastic about it, and he wasn't convinced,
either. Then he said, “Maybe I do have just the violin for you” and he came
back with a Montagnana. He showed it to me and handed it to me to try it out:
it was an extraordinary violin with a marvellous tone, and I immediately fell
in love with it. He said, “Look, don't worry – here's what we'll do: I’ll take
these two violins, the Gagliano and the Guadagnini, and then let me handle
things.” In all practicality, I didn't have to spend a cent. I took the
Montagnana, and he told me, “Keep it for two or three months. I have to be back
within four months, and you can let me know then whether or not you like it. If
you don't, maybe we can try something else. In any case, if I have the chance
to sell these instruments, I will, because they're not for you. I manage to get
really good prices, and then... we'll see. » Instead, I called after just two
weeks to tel1 him that the violin was wonderful, and that I was euphoric. This
was just one example of that great Maestro's exceptional humanity. He had understood
that I needed a violin that responded to my interpretative demands, to what I
wanted from an instrument, and he really helped me out.
Then I also got my Francesco Stradivari from
him – a marvellous... gorgeous violin which he enabled me to get at a reduced
price. His word was the gospel at Wurlitzer's! There, he was the one who really
counted – he was the soul, the security of the firm. When you went there, you
didn't ask for just anyone – you wanted to see Sacconi, you wanted his opinion.
Rembert Wurlitzer was the business expert, but Sacconi was the guarantee for
everything. The most beautiful thing in my opinion, however, was this enormous interest
and availability he showed young people. He used to say, “The only thing I can
leave to the world is what I do for the young.” He also had extreme
conscientiousness in his profession; he was incredibly reliable, with a sense
of responsibility that is quite rare at his level, which was also the level of
big business.
He kept me with him, and showed me the
restorations he was doing. I remember one viola that he restored, and the photo
he showed me of it before the restoration: it looked as if someone had sat on
it. The work he had done was incredible – you absolutely couldn't see the
repair, and the viola seemed intact.
I was fortunate enough to be in New York right
when the Wurlitzers repurchased the Hottinger Collection, which was one of the
greatest collections of instruments in the world. Sacconi called me at my hotel
and said, “Listen, this morning all these instruments are going to arrive –
come see them, because it's a once-in-a-lifetime occasion!” I must have seen
8-10 Stradivariuses, 4 Guarnerius del Gesùs, some Amatis and Montagnanas, the
Stradivarius IV, the Stradivarius quarter. Then he had me try every one of
them, saying, “ Look, I'll let you try them, but I really shouldn't – not
because it's not allowed, but because I'm not exactly doing you a favor, since
you'll get the feel of them and then not be able to buy them.” In any case, it
was a chance in a million to see all those instruments at one time (twenty-five
to thirty instruments) – I still tremble when I think about it. They were all
in marvellous condition, and every one really extremely beautiful – extraordinary.
You can understand if you think that the whole collection had been bought from
the Wurlitzer Company earlier and thus, in all practicality, came from
Sacconi's hands.
Sacconi was an oracle for us violinists.
Whenever we got together and asked each other about a violin – what it was, or
wasn't – the first question was, “Has Sacconi seen it? What did he say about it?”
He always had the last word – it was the gospel, and not just for us, but for
all his colleagues, as well, This is even more important, because he had some
extraordinary colleagues, but all of them agreed that Sacconi had the last word
– especially when it had to do with Stradivarius. Thus he was held in immense respect
– really enormous; both among my colleagues and among his, he was a sort of
myth. Sacconi was a myth, and that's how I want to remember him... as a great
guiding light, an essential point of reference for musicians and violinmakers,
alike – a great, great expert, and a really superior man of extraordinary
humanity.