Mito e creazione

nella tradizione liutaria classica

di Giuseppe Tumminello


Suggeriva Paul Cézanne: "... essere degli artigiani, servirsi di un materiale rozzo, il più naturale possibile". Un materiale originario, dunque, da portare a compimento nella forma finale, vale a dire nell'oggetto della creazione. È questo l'itinerario creativo del lavoro tanto nell'artigianato che nell'arte. In particolare, nell'artigianato artistico questo passaggio, questo nesso, risulta riconoscibile lungo tutto l'arco del processo di emancipazione della forma, dalla materia originaria al valore conclusivo del lavoro. Nella liuteria, poi, il processo si svolge dal legno vivo dell'albero al canto finale dello strumento, dove la produzione del suono s'accoppia con la materia lignea sin nelle sue fibre più intime. Il lavoro, insomma, tien viva la natura dei materiali originari e ne esalta il valore antico per il tramite della cultura. È in questo senso che, ancora oggi, nella liuteria moderna di qualità, ispirata alla scuola classica cremonese, sembra realizzarsi il sogno degli antichi ed in particolare il grande mito che fu degli alchimisti. 

Così, verrebbe da chiedersi perché mai, oggi, dopo tanta esaltazione del macchinismo e dei miracoli della tecnica, il discorso sulla natura delle tradizioni artigianali ci affascini tanto. Sembra, infatti, che il nostro passato più antico torni ora a rivisitarci, proprio alle soglie della civiltà elettronica, quando sembriamo ormai completamente assorti nel cercare di decifrare il complesso ribaltamento di piani e di contesti cui ci costringe la rivoluzione informatica, o la robotica, e tutte le altre grandi trasformazioni che fanno della nostra epoca il tempo vissuto della transizione.

Benché il bisogno di riscoperta del passato e delle sue tradizioni sia un fenomeno esploso soltanto in questi ultimi anni, l'Aclap (Associazione Cremonese Liutai Artigiani Professionisti) ne ha fatto, ormai da più di un decennio, la ragion d'essere della sua attività, e pertanto il motivo di ispirazione fondamentale del proprio lavoro. La storia della Associazione coincide infatti con lo sviluppo delle sue idee-forza. Era destino, forse, che proprio da parte di coloro che avevano tanta attenzione e cura per i processi di natura artistica e artigianale, si dovesse avvertire per primi la necessità di non perdere il contatto con le radici più antiche del lavoro umano e con la sua creatività originaria.

Ma cosa poteva significare, nel nostro mondo fatto di velocità e di funzionalità, la riscoperta del significato antico del lavoro? Mi pare che a questo interrogativo risponda, implicitamente, il mito di Stradivari la cui diffusione è in apparenza tanto contrastante con la complessità di "lettura" e di reale comprensione del processo costruttivo di uno strumento ad arco. Quel mito racchiude infatti l'idea viva di una personalità creatrice che sfida i secoli e le stesse moderne tecniche di accertamento e di indagine. Il mito stradivariano appare, insomma, ben racchiuso nella sensibilità e nel genio dell'uomo antico. Ecco perché il famoso "mistero" della vernice stradivariana assumerà un valore di sfida culturale della genialità antica nei confronti del mondo moderno e dei suoi laboratori.

Da un punto di vista tecnico-liutario sarà il grande Simone Fernando Sacconi che, grazie alla sua esperienza più che trentennale di restauratore degli strumenti classici antichi soprattutto presso la Casa Wurlitzer di New York, recupererà tutta l'importanza del metodo classico della "forma interna" quale pietra angolare da cui nasce e si sviluppa l'intera architettura classica dello strumento.

Alla scuola di Sacconi si perfezionerà poi il maestro liutaio Francesco Bissolotti, continuatore – in Cremona – della tradizione dei classici; mentre sulla base dell'insegnamento di Sacconi si formerà, nella bottega di Bissolotti, l'allieva più diretta di questi, quella Wanna Zambelli che è anche la prima donna liutaia italiana, vincitrice del premio dedicato allo stesso Sacconi dalla V Biennale Nazionale degli Strumenti ad Arco di Cremona (settembre 1973).

Il metodo della forma interna significa anzitutto il rifiuto di ogni facilità e rapidità costruttiva, tipiche delle tecniche di assemblaggio seriale dello strumento, in favore, invece, della sensibilità costruttiva classica, la quale esige che ogni strumento costituisca un pezzo unico, cioè l'espressione di una personalità creativa ben caratterizzata. 

Il mito dell'antico che fa da corona all'immagine del violino deriva infatti, essenzialmente, da questa coincidenza fra qualità e personalità, per cui la forza qualitativa dello strumento coincide interamente con la sua personalità costruttiva.

Poiché l'artigianato è per sua stessa natura un perfetto incrocio fra l'antico e il moderno, la qualità si identifica dunque con la tradizione, ovverossia con una continuità di ispirazione a un modello che non è né imitazione né, tantomeno, duplicazione. Infatti, l'ispirazione deriva dal modello mentre l'uso del metodo consente – invece – la creazione del nuovo. In tal modo, tradizione e personalizzazione del prodotto vengono a coincidere, divenendo simbolo di creazione individuale in un mondo che, come il nostro, si fa sempre più impersonale (nonostante i "nuovi cieli della tecnologia"), dove il marketing tende a coincidere con la Kermesse e questa con il Kultur-market, dove la creazione è per lo più confusa oramai con il mixaggio dei sintetizzatori, mentre la bottega viene sostituita dalla boutique ed il quadro-comandi prende il posto del banco di lavoro.

L'artigianato classico assume così il significato di uno spazio entro il quale si gioca la "magia" della sperimentazione del suono e della sua creazione. I liutai classici, infatti, veri artigiani del suono italiano, ci richiamano nel loro lavoro alla simbiosi primaria fra lo strumento e il suo costruttore e, dunque, alla magia creativa del rapporto fra strumento ed esecutore.

Un tentativo di visualizzare la "magia" di questo lavoro è appunto la mostra Aclap "Liuteria classica: un metodo", dove la sequenza dei pannelli cerca di sviscerare il lavoro liutario nei suoi passaggi fondamentali. Il discorso sul metodo costruttivo dello strumento diventa allora il discorso sulla qualità e le sue garanzie. La più importante delle quali è rappresentata dall'uso della forma interna, sola matrice della liuteria classica, ma anche dal rispetto della natura viva dei materiali, dei loro processi, dei loro ritmi interni costitutivi.

Fondamentale diventa, in questo senso, per esempio il discorso della stagionatura. Nella liuteria classica, stagionare significa non essiccare artificialmente, cioè non tentare di forzare i tempi del processo naturale poiché tale forzatura sfibrerebbe il legno, compromettendone la resa acustica. Allo stesso modo, nella verniciatura, la sostituzione di prodotti chimici alle resine naturali finirebbe per compromettere le qualità vive e naturali del legno. Mentre – per fare un altro esempio – l'uso di spessori troppo bassi (particolarmente nella tavola armonica) se da un lato rende la voce subito più potente, dall'altro si traduce, nel tempo, in un infiacchimento dello strumento, cioè in una perdita delle sue qualità sonore. Il buono strumento, al contrario, è destinato ad accrescere e a migliorare nel tempo tali sue qualità. In una parola, il lavoro antico conserva la religione della natura. Antica è, infatti, la natura e sempre nuova. Forse il vero mistero, il "segreto" stradivariano perduto, è proprio questa religione della materia naturale e del metodo costruttivo artigianale.

Storicamente, dunque, quella del violino appare un'immagine culturale ricca in quanto particolarmente ricettiva: non a caso la incoronano i miti. Accanto a quello maggiore del mistero stradivariano della vernice si colloca – infatti – quello altrettanto diffuso del capolavoro antico disperso e ritrovato, cioè il mito del tesoro nascosto presso un rigattiere o nella propria soffitta abbandonata. Così, attraverso il tesoro, cioè il mitico oggetto ritrovato, il mito stesso allude alla possibilità di riconquistare una qualità intrinseca dimenticata, un valore, insomma, legato al lavoro ed alla capacità che ciascuno custodisce dentro di sé, per lo più a sua insaputa. Il tesoro si rivela in tal modo il segreto della propria creatività, naturale ed antica, necessaria a far rivivere gli oggetti ed a conferire loro valore.

È a questo punto che il mito dello Stradivari disperso, misconosciuto o dimenticato, ci rivela a sua volta il "mistero" del suo significato nascosto. Non certamente quello di un racconto antiquario quanto piuttosto il valore, il senso, d'una trasposizione simbolica circa la necessità per l'uomo – per ogni uomo –  di tornare a ritroso nel tempo, verso le origini, per poter ritrovare il valore antico della sua creatività primigenia. Il mito, insomma, si rivela, come sempre, la narrazione fantastica e condensata di un ritrovamento essenziale, meraviglioso: quello della nostra capacità creativa primaria che supera ogni valore tecnico, misurabile e predeterminato.

L'intera storia della liuteria – questo straordinario artigianato artistico – appare intessuta e attraversata, quasi permeata, dai miti, i quali si offrono in tutto il loro prezioso significato culturale alla intelligenza dell'uomo moderno, posto che questi non si faccia accecare dalla presunzione dell'onnipotenza tecnologica. Ecco perché il famoso problema della tradizione in realtà nasconde quello della trasmissione, cioè il dramma delle differenti sensibilità che l'uomo rivela nel corso della propria storia culturale. Tale sensibilità ci viene trasmessa per mezzo delle opere e la liuteria è prima di tutto opera e poi prodotto. Opera, dunque, ma anche prodotto, dove è l'elemento culturale a plasmare quello produttivo e non viceversa. 

È in questa chiave di lettura che si pone oggi il problema di garantire la natura tecnica e culturale autentica dello strumento moderno su modello classico. 

Garanzia significa infatti un rapporto fra costruttore ed acquirente/amatore basato su un apprezzamento tecnico-culturale comune. Personalità, metodo e qualità sono pertanto le caratteristiche che, come prodotto, devono rientrare nell'area di salvaguardia D.O.C. Il problema del metodo trova qui la sua centralità culturale, anche se esso non va confuso, come tale, con la storia mirabolante delle imitazioni e delle falsificazioni degli strumenti classici antichi, che costituisce in un certo senso il rovescio e la negativa di quella ufficiale e rinomata.

È noto poi che il problema delle falsificazioni affligge molte delle creazioni italiane dei settori più noti e rappresentativi. Da qui la necessità di salvaguardare l'immagine culturale dei prodotti che – come la liuteria classica – rappresentano anche una delle identità storiche del nostro paese.

Questa linea di tendenza, tenacemente perseguita dall'Aclap per più di dieci anni, si sposa oggi felicemente con la piena affermazione dei prodotti italiani di qualità, che vanno sotto la denominazione comune di Italian Style o Made in Italy. Sono prodotti che si sono imposti grazie all'alto contenuto di creatività, quale viene loro da tradizioni antiche sempre rinnovate.

Autorevoli economisti come John Kenneth Galbraith hanno parlato per questo di "ricetta italiana" e di una "industria creativa a base prevalentemente artistica". Il segreto del nome di questi prodotti è nella loro bellezza, mentre il segreto di tale bellezza è nella creatività che accompagna l'amore del lavoro, o meglio, il lavoro quale atto amoroso creativo. Per questa ragione vorrei concludere il mio breve discorso sulla liuteria classica, ricordando le parole, i versi, del grande poeta arabo-libanese Gibran Kahlil Gibran nel suo poema maggiore, "Il Profeta". 

Scrive Gibran: "Lavorare con amore? ... / Il lavoro è amore rivelato/ Se non potete lavorare con amore, ma esso vi ripugna,/ lasciatelo, meglio è sedere alla porta del tempio/ per ricevere elemosine da chi lavora con gioia".


Articolo tratto dalla rivista internazionale in quattro lingue «Welcome, appuntamenti italiani». Milano, luglio 1983